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Ricercatore palermitano apre nuovi scenari per la cura del Parkinson

Ricercatore palermitano apre nuovi scenari per la cura del Parkinson

28.07.2018.

Si fa strada la possibilità di nuovi farmaci contro il morbo di Parkinson: molecole che contrastano l’azione anomala di un enzima che si è scoperto essere un tassello cruciale nello sviluppo della malattia, ovvero LLRK2 già noto colpevole di alcune forme ereditarie di Parkinson e risultato iperattivo anche nelle forme più comuni di malattia.

Lo dimostra uno studio condotto dal ricercatore palermitano Roberto Di Maio della Fondazione Ri.MED, in collaborazione con l’Università di Pittsburgh e UPMC e pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine.

Nel lavoro si è visto che i farmaci sperimentali contro LLRK2 bloccano la formazione di aggregati tossici nel cervello di animali con la malattia e presto potrebbero iniziare i trial clinici con queste molecole.  LLRK2 è un enzima specifico del Morbo di Parkinson. Fino ad oggi si pensava che la sua alterazione fosse responsabile solo di una ridotta percentuale (il 3-4%) di casi di malattia. Il nuovo studio, invece, ha svelato che vi è un’attività anomala di LRRK2 anche nelle forme non ereditarie di Parkinson, quelle più comuni.

«Si tratta di una scoperta rilevante – dichiara Di Maio – che potrebbe consentire di espandere a una ben più vasta popolazione di pazienti l’utilizzo di alcuni farmaci in via di sviluppo in grado di bloccare l’attività enzimatica di LRRK2 – pensati inizialmente solo per alcune forme familiari di Parkinson».

Nella ricerca Di Maio ha inizialmente scoperto che l’enzima è iperattivo nei neuroni dopaminergici (quelli che muoiono nel Parkinson) del tessuto cerebrale post-mortem di pazienti.

Lo scienziato ha poi scoperto che LLRK2 favorisce l’accumulo dell’alfa-sinucleina (molecola coinvolta nella malattia) e visto che, in roditori trattati con un farmaco in fase di sviluppo, mirato a bloccare l’attività di LRRK2, si impedisce l’accumulo di forme tossiche dell’alfa-sinucleina.  Il prossimo passo sarà quindi vedere se bloccando tale processo si può fermare o almeno rallentare la neurodegenerazione tipica della malattia.

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