Elisa Guccione
Sono trascorsi 35 anni da quel 5 gennaio 1984, ben 35 anni da quella fredda notte di inverno che vide cadere per mano mafiosa Pippo Fava giornalista, drammaturgo, pittore e uomo dall’intelligenza acuta che, senza paura, tentò di cambiare l’ordine delle cose denunciando i misfatti di una Catania stupidamente e fintamente abbellita dall’ipocrisia dei noti cavalieri dell’apocalisse.
Sul suo omicidio fu detto di tutto, prima di arrivare alla verità o meglio scrivere la parola mafia sulla sua morte.
Fava era diventato troppo scomodo. Non aveva paura di fare nomi e cognomi e per questo andava fermato. Fu ucciso davanti al suo amato teatro, aveva appena parcheggiato la sua Renault 5 e stava per aprire la portiera quando un killer sparò attraverso il finestrino: cinque proiettili calibro 7,65 lo raggiunsero al collo e alla nuca. Le sue inchieste capaci di analizzare e dichiarare senza mezzi termini il legame tra mafia e politica erano diventate troppo pericolose.
Per il suo omicidio la prima Corte d’Assise di Catania ha condannato il boss Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, ritenendoli mandanti, e Marcello D’Agata, Francesco Giammuso e Vincenzo Santapaola, come organizzatori ed esecutori dell’omicidio. Sentenza confermata dalla Corte d’appello di Catania con le condanne all’ergastolo per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, mentre ha assolto D’Agata, Giammuso e Vincenzo Santapaola che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo come esecutori dell’omicidio. Sentenza che è stata confermata in Cassazione nel mese di novembre del 2003.
Non ho avuto il tempo di conoscerlo, ero troppo piccola, dovevo compiere ancora quattro anni, camminavo ancora carponi quando quella parte di Catania si fermò in un triste e urlante silenzio di dolore. Con il passare degli anni ho imparato a conoscerlo ed ammirarlo, anche attraverso i suoi scritti conservati con cura dai miei genitori. Custodisco gelosamente la prima copia de “I Siciliani” un giornale terribilmente attuale e diretto, nonostante sia trascorso oltre un trentennio da quella prima pubblicazione.
Provo una grande rabbia quando, ancora oggi, a scuola, all’università si parli ancora troppo poco di Pippo Fava e della sua figura di giornalista e drammaturgo. Non si capisce, nonostante siano passati tanti anni dalla sua morte, che l’uso diretto ed imparziale della verità migliori e rialzi la nostra società dal fango di cui è intrisa. Tanti, per fortuna, i miei coetanei sanno chi è e cos’ha fatto Pippo Fava, ma è sempre poco e non è mai abbastanza.
Se ho deciso di non fare l’avvocato e di percorrere la strada del giornalismo è anche “colpa” di quest’uomo forte e dall’imponente scrittura, affinchè il suo pensiero e la sua tenacia possano essere il miglior esempio di correttezza e rettitudine per tutti coloro che molto modestamente tentano d’intraprendere questa difficile ed impervia strada.
Il mio ricordo e il mio pensiero oggi è indissolubilmente legato ad Elena Fava, donna straordinaria ed elegante, che ho avuto il piacere e l’onore di esserle amica. Ci siamo conosciute d’estate durante la presentazione del primo volume dedicato all’opera drammaturgica del padre curato da Massimiliano Scuriatti dove è stata analizzata l’imponente personalità di scrittore e autore teatrale. Quando la penso non posso far altro che richiamare alla memoria le sue parole: “Non esiste il perdono, né la rassegnazione. Non ho mai augurato la morte a nessuno, perché sono contro la pena di morte. Mi piacerebbe, però, che un giorno questa gente si svegliasse con una coscienza ritrovata e un rimorso tale da mangiargli il cervello. Una pena di questo genere credo basti per il resto della vita“.
Il più grande insegnamento che ci ha lasciato Pippo Fava è, senza dubbio, credere che questo mondo possa cambiare e avere la sensazione di essere sempre uomini liberi, senza che questo desiderio possa intralciare la libertà altrui. Avere sempre la possibilità di dire quello che accade e non cedere ai compromessi.
Spero e mi auguro che le nuove generazioni possano trovare professori che spieghino chi era ed è quel coraggioso, scomodo e, a volte antipatico giornalista che sfidando la mafia ha saputo incarnare un concetto di giornalismo libero, giusto e senza corruzioni.
Elisa Guccione