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Le vite di Orazio Pino, ex pentito catanese ucciso a Chiavari come un boss: una vendetta fredda?

Le vite di Orazio Pino, ex pentito catanese ucciso a Chiavari come un boss: una vendetta fredda?

25.04.2019.

CATANIA –  E’ stato ucciso come un boss. Un agguato notturno in un garage. Il sicario era nascosto, lo ha sorpreso alle spalle e gli ha sparato un solo colpo di pistola alla nuca, poi si è dileguato. E’ morto così, a Chiavari (Genova), il catanese Orazio Pino, 71 anni, che in effetti in passato boss di mafia lo è stato. E precisamente è stato capomandamento a Misterbianco, oltre che braccio destro di Giuseppe Pulvirenti detto «u Malpassotu». Ma più recentemente Orazio Pino è stato un “pentito”, ha collaborato con la giustizia per diversi anni ricostruendo le fasi più sanguinose della guerra di mafia a Catania a cavallo tra anni Ottanta e gli anni Novanta, quando in città c’erano oltre 120 omicidi all’anno.

E di molti di questi Orazio Pino si era anche autoaccusato, essendo stato lui stesso un sicario. Pino, come il «Malpassotu», era ritenuto vicino al clan di Nitto Santapaola e nella potente cosca catanese avrebbe organizzato anche epurazioni interne. Da collaboratore di giustizia è stata invece fondamentale in decine di operazioni e processi che hanno permesso di smantellare e portare alla sbarra intere organizzazioni mafiose e di far luce su centinaia di episodi delittuosi a Catania, dagli omicidi alle tangenti, dalle rapine alle estorsioni fino al voto di scambio politico mafioso. Fu infatti uno degli accusatori dell’ex ministro Salvo Andò, poi assolto dalle accuse lanciate da Pino e da altri collaboratori di giustizia.

Ma sebbene ormai da anni il suo nome fosse fuori da questi giri, non si escluse che l’omicidio di Orazio Pino possa essere una vendetta servita fredda, molto fredda, a distanza di tanti anni. «Siamo morti viventi perché la mafia porta sempre a termine le sue condanne a morte» ha detto oggi Gennaro Ciliberto, ex dirigente d’azienda e testimone di giustizia, commentando l’omicidio del catanese: «Una cosa gravissima – ha detto Ciliberto -, un messaggio a collaboratori e testimoni di giustizia».

Secondo Ciliberto, quindi Orazio Pino potrebbe essere stato ucciso per le sue dichiarazioni nei tanti processi di mafia. Eppure Pino è stato un pentito un po’ controverso. La sua collaborazione non sarebbe stata sempre continuativa.

L’ultimo arresto

Orazio Pino fu arrestato l’ultima volta il 10 ottobre del 1990. Allora 32enne, Pino che risideva a Pedara in via Archimede in una lussuosa villa superprotetta con tanto di videosorveglianza, risultava dipendente della Pin Costruzioni (titolare la moglie Maria Luisa Pinieri), ma il realtà era proprietario della casa discografica «Step records» con la quale si divertiva a incidere canzoni neomelodiche e soprattutto a produrre cantanti popolari napoletani e siciliani, di cui incideva a Catania le musicassette. Si racconta che all’epoca per spostarsi utilizzava una elegante “Fiat 132” blu notte blindata.

Orazio Pino comincò a collaborare con al giustizia quasi subito, diventando come detto un teste chiave in diversi processi alla mafia catanese, come per esempio in tutti i processi denominati “Ariete” ma in quelli “Orsa Maggiore”, ma il pentito catanese parlò anche di mafia e politica. «Alle elezioni per il rinnovo del Parlamento nel 1987 a Catania Cosa nostra svolse un’ intensa campagna elettorale in favore dell’ex ministro Salvo Andò in cambio di ”aiuti nei processi”» disse Orazio Pino durante una deposizione al processo che coinvolse il politico catanese.

Che Pino avesse anche le mani in politica lo conferma la deposizione nel processo “Aria pulita” il 28 aprile del 1995, quando Pino ricordò come la sua cosca riuscì a «farsi finanziare» dall’amministrazione comunale di Catania facendo assumere una decina di netturbini che non avrebbero però mai lavorato. «Ogni mese – disse il pentito – il nostro gruppo poteva contare su oltre 15 milioni al mese grazie agli stipendi dei nostri pseudo operai comunali».

Dal Comune di Catania, Pino avrebbe inoltre ottenuto la concessione per dei lavori in una delle spiagge pubbliche della Plaja. Grazie alla sua “amicizia” con l’ex segretario della Dc di Misterbianco Paolo Arena, ucciso dal clan rivale dei Nicotra il 28 settembre del 1991, il clan del Malpassotu controllava le assunzioni nel Comune etneo e i suoi appalti miliardari.

Il pentimento di massa

Pino ha raccontato di essersi pentito dopo avere sentito l’appello del vescovo di Acerra, don Riboldi, che invitava i mafiosi a collaborare con la giustizia. E ha svelato che esisteva un progetto per un ”pentimento in massa” di capimafia catanesi che però  fallì per la paura di ritorsioni o per scarso convicimento degli interessati. «Parlai con i boss Salvatore Cappello, Calogero Campanella e Giuseppe Laudani, volevo convincerli a collaborare tutti insieme: sarebbe stata la sconfitta della mafia, ma il progetto non andò in porto perché non tutti aderirono all’iniziativa».  Ma numerosi affiliati alla sua cosca avrebbero deciso di pentirsi e la sua iniziativa avrebbe portato, tra l’altro, al pentimento di ”Iano” Ferrera, il boss di Messina.

Eppure il suo pentimento non è stato proprio limpido. Il collaboratore di giustizia Filippo Malvagna, nipote tra l’altro del Malpassotu, deponendo nel processo bis per la strage di via D’ Amelio svelò che Cosa nostra aveva ideato un piano per delegittimare i pentiti.  L’ex boss «Marcello D’ Agata nell’infermeria del carcere di Bicocca – disse il collaboratore – mi confidò che a Palermo progettavano d’inserire finti collaboratori per cercare di capire come funzionava il sistema di protezione per poi poterli delegittimare. Poco prima che mi pentissi, ho appreso che a Catania c’ era Orazio Pino che fingeva di collaborare con la giustizia per infiltrarsi. Appena incontrai i magistrati della Dda catanese glielo segnalai». Eppure Pino è sempre stato considerato attendibile.

La vita a Chiavari

Dopo varie condanne per associazione mafiosa e omicidi, due settimane fa Orazio Pino aveva chiuso i conti con la giustizia grazie anche al suo status di “pentito”. Per sua scelta, però nel 2009 è anche uscito dal programma di protezione: aveva concordato una «liquidazione» economica che aveva investito nella sua attività commerciale. Con la società «Isola preziosa» gestiva una gioielleria con attività di compro oro con alcuni punti vendita. Socie di «Isola preziosa» erano la moglie di Pino, le due figlie e un’altra donna. L’ex collaboratore era componente del consiglio di amministrazione e per questo la società era stata oggetto nel 2016 di una interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Genova. Il provvedimento era stato poi confermato dal Tar al quale Pino aveva fatto ricorso dopo essersi dimesso dalla società.

Orazio Pino era stato indagato lo scorso anno dopo che una sua ex socia lo aveva denunciato per il furto di alcuni gioielli dalla società. Il procedimento era finito sulla scrivania del pm Gabriella Marino che però, dopo una perquisizione senza esito, aveva chiesto l’archiviazione. Il furto, secondo la denuncia della donna, era avvenuto dopo una lite tra i due e la chiusura della società. La donna aveva fatto opposizione all’archiviazione.

Ma questa al momento non sembra una pista da seguire per chiarire l’omicidio.  Il corpo di Pino è stato trovato ieri sera da un passante che ha subito chiamato i soccorsi. Il cadavere  era supino in terra vicino alla macchina posteggiata al quinto piano del parcheggio del supermercato. Pino aveva preso in affitto un posto auto e ogni giorno lasciava la sua vettura lì. Il pubblico ministero ha disposto l’autopsia sul cadavere che verrà eseguita venerdì mattina. Secondo i primi accertamenti, l’ex pentito di mafia sarebbe stato ammazzato poco dopo le 20, orario di chiusura dei negozi. Gli investigatori della mobile stanno scandagliando la vita dell’uomo per capire risalire al movente.

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