CATANIA- Una storia di giovani ed innocenti anime colpevoli con la loro purezza di incuriosire e stimolare la sessualità malata di uomini di Chiesa protetti dal loro abito e per questo invincibili viene magistralmente raccontata nella pièce “Concetto al buio” tratta dal romanzo di Rosario Palazzolo e ridotto per il teatro da Micaela Miano per la regia di Guglielmo Ferro.
Spettacolo in programmazione nel cartellone dell’applaudita terza stagione di Teatro Mobile che dopo il debutto nel 2012 e il primo nuovo ciclo di rappresentazioni a marzo ritorna a grande richiesta in scena per emozionare e sconvolgere i numerosi presenti sull’agghiacciante storia del tredicenne Concetto Acquaviva, che scrive rinchiuso nella sua stanza una lunga lettera a Gesù in un quadernetto rosso, come il dolore vissuto sulla sua pelle, una sorta di diario segreto, l’unico legame con il mondo esterno dove racconta le “le due grandi tragedie” della sua vita.
Protagonisti eccellenti di questa storia scomoda gli attori Agostino Zumbo, Francesco Maria Attardi e Giovanni Arezzo, rispettivamente nel ruolo di Padre Ottorino, del recluso, dell’abusato e del fratello, che dipingono con toni chiaroscuri i tanti orrori di una società sporca e consenziente fatta di vizi, vite spezzate e inconfessabili complicità di ibride verità ideate per nasconderne una più grave e complessa.
L’atrocità del racconto tocca l’apice nel momento in cui l’innocente Concetto rivive il momento dell’apparente innocuo invito a pranzo del sacerdote, che distrugge per sempre la sua vita e quella del fratello Carmelo anche lui vittima sacrificale e predestinata di un progetto diabolico congeniato dal bonario e sorridente prete.
L’acuta regia di Guglielmo Ferro, le musiche di Massimiliano Pace, la scenografia realizzata da Alessia Zarcone e la voce fuori campo di Tony Sperandeo creano un’atmosfera forte e allo stesso tempo truce, che tira alla fine dell’intenso ed applaudito atto unico un pugno allo stomaco scuotendo le coscienze. Un dramma senza tempo e terribilmente attuale come quello della pedofilia che la cronaca dei quotidiani narra con cruda normalità, lasciando negli occhi delle vittime un dolore sordo e disumano, che neanche un sincero pentimento, semmai fosse veramente reale, può cancellare o almeno tentare di cicatrizzare quelle ferite dell’anima con cui non sempre si riesce a convivere.