Se ne è andata quasi 50 anni fa, ma per la stragrande maggioranza dei cinefili Anna Magnani resta il volto del più grande cinema italiano, la sacerdotessa del neorealismo, la Pina di “Roma città aperta” (1945), la prima italiana a vincere l’Oscar (“la rosa tatuata”, 1955), Nannarella per tutti i romani, la “Lupa romana” secondo la celebre definizione coniata per lei da Gilles Jacob, per decenni patron del festival di Cannes.
E il festival rinnova l’antico legame con quella che il Times definì “Divina, semplicemente divina” presentando il sorprendente documentario di Enrico Cerasuolo “La passione di Anna Magnani” coprodotto con Istituto Luce – Cinecittà. Non è certo il primo ritratto dell’attrice che approda sullo schermo, ma il lavoro di Cerasuolo sorprende per la cura filologica, i rari e spesso inediti materiali d’archivio (anche messi a disposizione dalla famiglia), le voci di chi la sa descrivere con rara partecipazione, da Luchino Visconti a Burt Lancaster.
Ne nasce quindi un ritratto molto più sfaccettato della convenzione: Anna è la bionda dei primi film all’epoca dei “telefoni bianchi”, Anna è la donna che sa ridere e prendersi in giro, Anna è colei che – come ricorda Visconti – è “fonte inesauribile di idee, sorprese, invenzioni creative” tanto potenti e personali che trascinano il regista oltre la sua visione originale. Dopo la passerella a Cannes Classics il documentario sarà tra i gioielli della prossima edizione del “Cinema ritrovato”, la grande rassegna della memoria cinematografica organizzata a fine giugno dalla Cineteca di Bologna.