di Elisa Guccione
CATANIA- “Ogni angolo di Catania trasuda storia ed emozioni e può essere rappresentato sotto diverse forme”. Inizia così l’incontro con Nicola Majocchi fotografo di moda e sport apprezzato dalla critica internazionale per i suoi scatti dal carattere forte ed incisivo in visita nella nostra città, per un nuovo progetto artistico culturale tra la cattedra di Storia del Costume per lo Spettacolo diretta dalla professoressa Liliana Nigro e l’artista italiano ormai statunitense d’adozione. Girando per i saloni di Palazzo Manganelli scopriamo quali sono i prossimi progetti legati alla nostra Catania e com’è cambiato il mondo della fotografia.
Il nome di Nicola Majocchi, fotografo internazionale di moda e sport, sarà legato alla nostra terra con un importante progetto artistico culturale. Possiamo avere un’anticipazione?
“Ancora non posso dire molto, ma stiamo cercando con Liliana Nigro di realizzare un progetto fotografico che parli di Catania tra storia e fede con Sant’Agata come elemento di coesione. Il mio primo pensiero è rispettare il luogo dove siamo, elevando tutto quello che è la Sicilia con il fine fondamentale di aiutare e sostenere i giovani appassionati di fotografia”.
Non è la prima volta che si trova a Catania. Da fotografo qual è l’immagine che l’ha colpita della nostra città?
“La città dell’Etna è storia e cultura che necessariamente ti coinvolge e va oltre l’immaginabile. Quando ho visto Catania per la prima volta sono rimasto folgorato dalla sua bellezza, purtroppo sottovalutata perché ancora non tutti conoscono la magnificenza di questa città straordinaria da fotografare. La città di notte si veste di una luce particolare quasi magica”.
La fotografia nel corso dei secoli è stata definita in diversi modi ma qual è, secondo Nicola Majocchi, il suo vero significato?
“Come fotografo vado sempre alla ricerca della bellezza in un oggetto, in una persona o in una pianta a prescindere dalla circostanza e dal luogo. È importante stabilire l’obiettivo che si vuole raggiungere, da lì si sceglie la location e se il soggetto ha bisogno di essere aiutato con un design particolare o se deve essere ritratto al di fuori del suo ambiente creando un contrasto senza appesantire troppo lo scatto e puntare alla semplicità per raggiungere la massima espressione della bellezza”.
Ripercorriamo il suo percorso professionale. Ci racconta come la fotografia è diventata la sua scelta di vita?
“Il mio background accademico parte dalla California, anche se ovviamente ho sempre amato la fotografia. Ho una valigia piena di negativi con immortalati parenti, amici, paesaggi o meglio tutto quello che, secondo me, suscitava emozioni. Nasco come fotografo sportivo, perché essendo del Bormio era una conseguenza naturale occuparsi di sci. Ho deciso di voler imparare ed approfondire la tecnica fotografica e mi sono trasferito in California e dopo il primo anno dalla laurea mi sono ritrovato nello studio di Erwin Penn a New York, il quale ha voluto sapere tutto sulla mia persona. Ci siamo trovati benissimo ed ho lavorato con lui per un anno come apprendista per poi rimanere per ben sei anni”.
Molti fotografi hanno fatto di tutto per resistere all’attacco del digitale sull’analogico. Lei come ha vissuto questo cambiamento epocale che ha segnato l’abbandono della pellicola per sempre?
“Non esistono più i creatori di uno stile fotografico. Ho impiegato anni per adattarmi al digitale. Sono stato analogico fino a quanto ho potuto resistere, poi almeno dal punto di vista commerciale mi sono dovuto adattare al digitale che ecologicamente è un gran passo avanti, perché non c’è spreco né di carta né di acidi e posso girare il modo con una pendrive di 300 giga in tasca ed è sicuramente una cosa di notevole importanza da non sottovalutare, anche se il digitale ha universalizzato la fotografia stroncando dei canoni anche a livello accademico che non sono più considerati. Si è persa la poesia dell’immagine e soprattutto dal punto di vista tecnico i giovani dovrebbero iniziare a studiare la fotografia partendo dall’analogico, perché è la base di tutto per capire le luci, le zone intermedie o gli spazi.
Cosa consiglierebbe ad un giovane studente armato di sogni e belle speranze che ha deciso di scegliere la fotografia come professione?
“Fino a pochi anni fa avrei potuto dare una serie di consigli oggi posso solo dire che alla fine degli studi accademici per affrontare il mondo ci vuole tanta perseveranza ed imparare dai propri errori, credendo sempre in quello che si sta facendo. Si deve essere capaci anche di risolvere durante il lavoro i problemi più disparati che si presentano, con la consapevolezza che solo il tempo potrà premiare i sacrifici di una vita di studio e passione”.
Elisa Guccione