RAGUSA «Si fermi, mia moglie ha avuto un malore, ha bisogno di chiamare i soccorsi”: è la trappola nella quale è caduta una giovane donna che di notte tornava a casa in auto, dopo avere festeggiato il compleanno con amici. L’uomo, 26 anni, Sergio Palumbo, che le aveva chiesto aiuto invece le ha bloccato l’auto e davanti a lei si è materializzato il suo peggior incubo: l’ha minacciata con una grossa pietra, l’ha sequestrata e violentata per ore. E’ accaduto i primi del mese nel Ragusano. L’uomo, dopo 12 ore di indagini, è stato identificato e fermato dalla polizia che lo conosceva perché è un recidivo: nel 2018 era stato condannato per lo stesso reato, ma la notizia è stata resa nota dopo la decisione del Giudice per le indagini preliminari.
Per il Gip di Ragusa, Vincenzo Ignoccolo, che ha convalidato il fermo ed emesso nei confronti dell’indagato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, il giovane ha «un’indole gravemente sopraffattrice, tendente a sfruttare a proprio vantaggio le debolezze dell’altro sesso».
Cosa che ha fatto anche la notte della violenza quando ha sfruttato il buon cuore della vittima per convincerla a fermarsi a dargli aiuto con una bugia: il falso malore della moglie, con la quale, invece, aveva litigato.
Una volta salito in auto l’aggressore si è messo alla guida e si è diretto vicino al cimitero di un paese del Ragusano dove le ha rubato la borsa, ha preso i suoi documenti di identità e ha letto ad alta voce le generalità della donna: «Adesso so chi sei», le ha detto minacciando di morte lei e la sua famiglia.
Subito dopo ha abusato di lei. Dopo l’ha riportata nuovamente vicino al cimitero e ha abusato nuovamente di lei. Infine si è fatto lasciare vicino casa. Ma prima di scendere dall’auto è tornato a minacciare la donna e la sua famiglia di morte.
La giovane, per non spaventare i genitori con cui vive, ha cercato aiuto chiamando i suoi amici, che avevano però i cellulari spenti. Come una sua cara amica alla quale ha mandato un messaggio vocale ricostruendo le tre ore di violenza subìta. Infine si è recata in ospedale, dove i medici hanno chiamato la polizia che ha avviato le indagini, che hanno portato al fermo eseguito dalla squadra mobile.
Col personale della Questura ricostruisce quella che il Gip definisce «una vissuta odissea» con dichiarazioni credibili perché «spontanee, immediate, lucide, precise, dettagliate e circostanziate e prive di significative contraddizioni o sbavature». E’ una donna, osserva ancora il Gip, che ha sofferto il «completo annientamento della sua libertà di autodeterminazione e la invalidità del consenso, in quanto coatto». Ma che ha trovato il coraggio di ribellarsi e accusare: ha riconosciuto il suo aggressore tra le otto foto che la squadra mobile le ha fatto vedere e lo ha indicato senza esitazione. Ad “accusarlo” anche le riprese di telecamere di videosorveglianza. Esami sono stati disposti dalla Procura sui reperti biologici trovati sull’auto per estrapolare del Dna.
Durante l’interrogatorio di garanzia, alla presenza del suo legale, il ventiseienne si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il Gip nell’ordinanza cita la sua «recente condanna a 4 anni e 8 mesi di reclusione», in primo grado, per «il reato di violenza sessuale consumato con caratteristiche analoghe a questo oggetto del procedimento». In quel caso la vittima era riuscita a fuggire. Il legale dell’uomo ha presentato ricorso contro la sentenza di condanna, e la richiesta dell’accusa di disporre gli arresti domiciliari è stata modificata con l’obbligo di dimora. E per questo era libero.