di Elisa Guccione
CATANIA- Seduti nella tribuna del Teatro Brancati in un momento di pausa tra le due repliche programmate dell’applaudito ed innovativo spettacolo “Chi vive giace” di Roberto Alajmo per la regia di Armando Pugliese incontriamo l’attore Agostino Zumbo, protagonista della scena insieme a David Coco, Roberta Caronia, Stefania Blandeburgo e Claudio Zappalà. Con la disarmante simpatia che lo contraddistingue, tra tecnici e sarte impegnate ad ultimare la scena prima della nuova rappresentazione, dialoghiamo sui tanti successi ottenuti in questo fortunato periodo senza dimenticare i prossimi impegni.
In “Chi vive giace” interpreta un padre despota e allo stesso tempo devoto alla moglie defunta. Come si è preparato per l’interpretazione di questo personaggio molto particolare?
“È un uomo crudele nei confronti del figlio, sottomesso nei confronti della madre/moglie e bambino quando c’è il confronto con i morti. Un personaggio che ha tre sfaccettature importanti, non si sa se sia un omicida, perché usa il coltello con gli animali e, forse, anche con gli uomini ma ha un rapporto di sudditanza con la moglie. Questo padre è un personaggio veramente poliedrico, che ho cercato di esprimere al meglio tirando fuori quelle caratteristiche necessarie per renderlo vero e farlo arrivare alla gente. Quando interpreto un personaggio cerco “sempre” d’incontrarlo senza mai giudicare chi è o cosa fa”.
Agostino Zumbo ha incantato tutti con l’interpretazione di Ciccio il protagonista del cortometraggio “Si può”, scritto da Vittorio Costa e diretto da Francesco Di Blasi, vincitore della sezione psichiatria dell’edizione 2019 “Corti in Cortile”. Ci racconta chi è Ciccio il suo personaggio?
“Si può è stata un’esperienza straordinaria sia dal punto di vista artistico che umano, perché interpretare Ciccio un uomo veramente esistito diventato la mascotte di Villa Igea, comunità terapeutica riabilitativa, mi ha tanto arricchito. Un uomo buono rimasto bambino che non possedeva nulla nella vita tranne una foto che lo ritraeva accanto alla mamma vestito da paggetto del 700, questo era il suo tesoro. Era voluto bene da tutti ed ho cercato in qualche modo di rendere omaggio alla sua memoria e a tutti coloro che non hanno mai ricevuto una carezza o un gesto d’affetto, raccontando il suo delirio e la sua mania di raccogliere le cicche delle sigarette”.
Ci racconta come si sono svolte le riprese e quali sono state le reazioni degli ospiti della casa di cura quando l’hanno vista recitare ed entrare così nel loro mondo?
“Quando sono arrivato in comunità ho osservato i malati e ho cercato di capire il limite tra la realtà e la follia. Sono tutte persone di una grandissima umanità anche nella loro condizione. È stato, per me, molto forte interpretare una scena intensa e violenta del corto che ho girato insieme agli ospiti della casa. Non nego che inizialmente ero preoccupato e ho chiesto ai medici cosa sarebbe potuto succedere e loro con molta tranquillità mi hanno risposto che avevano spiegato tutto ai loro assistiti, tanto che alla fine durante le riprese ho compreso con molta emozione che ero stato accettato nella loro vita. Quando sono uscito da lì sono stato invaso da una grande emozione e serenità, confermando quello che ho sempre pensato che i veri pazzi sono fuori, ho ammirato i medici per il loro amore e la loro dedizione nel curare queste persone sicuramente più sensibili e sfortunate di noi. Conserverò sempre nel mio cuore quest’esperienza e mi prometto di andare a trovarli”.
Quale sarà il futuro di “Si può”, dove sarà distribuito?
“Girerà in queste strutture specializzate, perché lancia un messaggio di speranza facendo vedere chi è più debole in modo più umano senza i soliti luoghi comuni, perché “Si può” come dice il corto migliorare e stare meglio e ovviamente andrà in giro per i vari festival”.
Ha da poco ricevuto il Premio Martoglio 2019 per la sezione teatro civile ma so che ci sono tanti nuovi importanti progetti tra cinema e teatro…
“Insieme a Marcello Trovato dopo il successo del film “9 anni a Tientsin” racconteremo la vita degli emigrati di Santa Maria La Scala in Argentina negli anni venti con un docufilm, che inizieremo a girare a breve, sulla loro storia grazie all’intuizione di Roberto Pennisi che ritornato in Sicilia ha sentito il bisogno di scrivere di tutte queste famiglie italiane e il loro viaggio della speranza. Inoltre a marzo riprenderà il tour nazionale, partendo da Milano, delle repliche di “Sogno di una notte a Bicocca”, spettacolo di punta di Teatro Mobile di Francesca Ferro”.
Elisa Guccione