CATANIA- Nel dicembre 2015, nell’ambito della residenza promossa dal Festival Internazionale di Regia teatrale Fantasio e organizzata dal gruppo EstroTeatro di Trento, è stato chiesto a sei gruppi teatrali guidati da sei registi diversi di costruire uno spettacolo partendo da una riflessione attorno alla fiaba di Cappuccetto Rosso.
Chiuse è uno dei sei progetti finalisti nati in quella residenza, che andrà in scena al Teatro del Canovaccio dal 3 al 13 novembre per un’idea e regia di di Nicola Alberto Orofino. Sul palco Valeria La Bua, Cristiana Raggi, Manuela Rorro, voce fuori campo Silvio Laviano.
C’era una volta… una nonna, una madre e una figlia chiuse in un recinto (casa, stanza). Fuori c’è un bosco, già esplorato in un tempo passato dalla nonna e poi dalla madre. Cappuccette cresciute a suon di pance di mostruosi lupi. La madre vuole proteggere la figlia, affinché non debba subire le stesse terrificanti esperienze. Per questo l’ha serrata dentro, chiusa.
La figlia, Cappuccetto di oggi, non ancora svezzata da alcun lupo, ha sete del bosco. In lei si agita un forte istinto di evasione.
” Lasciami uscire anche solo una volta”, supplica alla madre carceriera.
Uscire, anche se fuori non c’è niente, perché ad un certo punto diventa indispensabile sapere com’è fatto il niente.
Anche la nonna, come la madre, è vittima di una vita che si può anche morire. E per non morire ha deciso di chiudersi in un mondo tutto suo, lontano dalla realtà del recinto.
” Non lo ricordo, questo proprio non lo ricordo…” ripete continuamente.
Creatrice di fantasie (divertenti per lo sguardo esterno, strazianti per quello interno), cancella (o fa finta di farlo) i ricordi di una vita. Devono essere rimossi per non morire. Perché lei, a differenza delle altre due, lo sa fin troppo bene che di vita si può anche morire…
La nonna ha un unico ricordo…
“C’era una volta una ragazzina dolce e buona; tutti quelli che la vedevano l’amavano, ma specialmente sua nonna, che non sapeva più cosa regalarle”…
Quella storia… Rimane nella testa.
Non la dimentico.
È l’unica cosa che ricordo.
Cosa c’era prima?
Cosa dopo?…
Boh! Non lo so.
“Quando lei entrò nel bosco”…
Il buio qui dentro mi brucia.
Ma il buio delle strade del bosco…
Di vita si muore recita un caposaldo della saggistica shakespeariana. Di vita si muore, di vita si può morire, o meglio, di vita si rischia di morire. Dal momento in cui nasciamo siamo esposti alla vita (dono e/o condanna) e a tutte le sue esperienze (soddisfazioni e/o pericoli). Lo sa bene Cappuccetto Rosso, la protagonista della fiaba delle fiabe. Il viaggio nel bosco è un’esperienza esaltante. E affrontare la pancia del lupo è un passaggio obbligato. Quando esci fuori da quella pancia è bellissimo. L’esperienza per quanto straziante è fautrice di rinascita (crescita). Prosegue il viaggio, sempre esaltante, almeno fino alla prossima pancia del lupo, inevitabile. È così di pancia in pancia, di esperienza in esperienza, la vita in questo mondo (il viaggio nel bosco) trascorre…
Quanto coraggio ci vuole!
Di quanta forza noi, cappuccette che popoliamo i sentieri della foresta, siamo provviste. Perché in una vita le pance del lupo possono essere tantissime, alcune terribilmente insopportabili. Può accadere (e capita prima o poi) di gettare la spugna anche solo per un attimo, di allontanarsi dal bosco, di fare di tutto per evitare le pance, perché il dolore causato può essere insostenibile.
Fare di tutto per evitare le pance…
Anche barricarsi.
Evitare di uscire,
rifiutare l’esperienza,
smettere di crescere…
Chiudersi.
Chiuse.
Io ho sempre sognato. Anche da ragazzina sognavo.
E non avevo paura di niente. Ti dicono che i pericoli aiutano a crescere.
Ma poi io ho capito… quando cresci, finisce sempre che devi crescere ancora un po’,
e poi un altro po’, e ancora un po’… E sempre sempre…
Pericoli su pericoli… Dopo non è bello e sereno.
Mia figlia tiene tutto chiuso.
Così i pericoli stanno lontani…
E io posso vivere come voglio.
Ogni giorno una vita nuova.
Sempre bella.
Senza lupi.
Senza crescere.
Come sarebbe bello se…