di Elisa Guccione
Foto Servizio Vincenzo Musumeci
CATANIA – Una grande folla di giornalisti, fotografi ed anche semplici lettori ed ammiratori della giornalista e scrittrice Concita De Gregorio, premiata per la sezione Letteratura alla IX edizione del Premio Ninfa Galatea, è in attesa di poter scambiare due battute o semplicemente ottenere una dedica sul suo ultimo romanzo “Mi sa che fuori è primavera”, Narratori Feltrinelli”. Sedute quasi in riva al mare mentre il sole sta per tramontare sugli scogli di Acitrezza dialoghiamo con la giornalista pisana, ma di origini siciliane, sui suoi successi professionali soffermandoci sul mondo della scrittura e dei suoi molteplici aspetti.
-Il suo programma “Pane quotidiano” parla di libri e letteratura. In un contesto storico sociale come quello che stiamo vivendo quanto è difficile parlare di cultura?
“I libri sono il mondo, nelle loro pagine c’è tutto quello che serve. È molto importante non perdere il valore semplice delle cose vere. Credo che valga la pena spendersi per questo. Penso che questo clima di ubriacatura generale finirà presto. C’è sempre bisogno di qualcuno che tenga il bandolo e aiuti a ricordare”.
-“Mi sa che fuori è primavera”, arrivato alla quarta edizione, racconta una storia realmente accaduta. Ci racconta come è avvenuto l’incontro con Irina, la protagonista del romanzo?
“Mi ha cercato lei. Tutto quello che scrivo è vero. È venuta Irina da me e mi ha chiesto ascolto. Con l’evolversi del racconto si sono invertite le parti, perché mi accorgevo pian piano che ero io ad aver bisogno delle sue parole e della sua storia”.
-Concita De Gregorio si è occupata nella sua attività giornalistica di informazione politica. Adesso la sua firma in questo settore è meno presente. Come mai?
“Mi piace molto il meccanismo e l’idea della politica di delegare a qualcun altro il compito di rappresentare la nostra persona. Ho iniziato da giovane a scrivere di questo mondo e ho capito che dovevo raccontare ciò che accadeva in modo che potessero capire tutti, evitando le contorsioni mentali tipiche dei critici letterari o teatrali. Per un certo tempo mi sono divertita, adesso osservo un grosso turno di riposo aspettando che le parole corrispondano ai gesti. Non mi piace la cultura dell’invettiva e se non posso dir bene preferisco tacere”.
-È vero che voleva fare la giornalista sin da piccola?
(Ride)
“Sognavo di diventare come Oriana Fallaci. A dieci anni ho letto un libro di interviste, molto scabroso per l’epoca e per una bambina della mia età, “Gli Antipatici” che mi ha conquistato. Più di ogni altra cosa al mondo, allora come oggi, sentivo e sento il bisogno e l’esigenza di riuscire a provare a capire cosa c’è nel cuore e nella mente degli altri, tentando di riuscire a trasferirlo alla gente”.
-Com’è cambiato, secondo lei, il mestiere del giornalista?
“Sono cambiati i mezzi con cui si fa informazione, ma la sostanza delle cose è rimasta uguale. È molto importante che il giornalista sia nel posto dove avviene il fatto e non scriva per sentito dire”.
-Dal 2008 al 2011 è stata direttore del quotidiano “l’Unità”. Ci può spiegare cosa serve per dirigere un giornale e lavorare con un gruppo di persone con esigenze e caratteri diversi?
“Il mestiere del giornalista, indipendentemente da quello che tutti pensano, non è facile. Un direttore deve sapere guidare e dirigere un gruppo di persone come se fosse un maestro d’orchestra e deve essere in grado di dare a ciascun membro la possibilità di esprimersi al meglio e non è assolutamente facile poter riuscire nell’intento”.
Elisa Guccione
Foto Servizio Vincenzo Musumeci
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