di Elisa Guccione
Le ore 23.14 del 27 luglio 1993, 24 anni fa, per Milano segnarono la notte della paura. La centrale e storica via Palestro divenne teatro di fiamme e morte. Tra tutte le stragi di mafia, forse, rimane quella più oscura e difficile da comprendere anche perchè l’autobomba, una fiat uno bianca rubata, che tolse la vita ai vigili del fuoco Carlo Lacatena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno, al vigile urbano Alessandro Ferrari e all’immigrato marocchino Driss Moussafir, che dormiva su una panchina, esplose davanti al padiglione d’arte contemporanea e non davanti ad un palazzo del potere.
L’indomani a Roma esplodono altre due bombe, a pochi chilometri di distanza, una dietro il vicariato di San Giovanni in Laterano, proprio dietro la basilica, e un’altra davanti alla chiesa del Velabro, per fortuna non ci sono state vittime, ma gravi danni ai monumenti.
Era l’Italia delle stragi mafiose, degli attentati contro Boris Giuliano, Rosario Livatino Rocco Chinnici, gli anni in cui la Cassazione rende definitivi gli esiti del maxi processo di Palermo (1986/87) istituito da Falcone, l’omicidio di Salvo Lima il diretto interlocutore tra Stato e mafia, le carneficine di Capaci e via D’Amelio dove persero la vita i giudici Falcone e Borsellino per proseguire poi con l’attentato a Maurizio Costanzo, fino ad arrivare all’arresto di Totò Riina, il 15 gennaio 1993, affamata belva assetata di sangue ed autore di tutte le violenze avvenute.
Ancora troppi i misteri sull’esplosione di via Palestro a Milano, le due bombe a Roma e il primo atto intimidatorio del 27 maggio 1993 in via Georgofili a Firenze a due passi dagli Uffizi con lo scoppio di un furgone Fiat Fiorino, che causò numerosi feriti e cinque morti oltre la distruzione di diverse opere d’arte. L’offensiva mafiosa di Totò ‘u curtu contro lo Stato era diretta e precisa, al fine di bloccare l’azione della giustizia e migliorare le condizioni per i boss in regime di 41bis, la quale diede vita alla cosiddetta Trattativa Stato-Mafia in cui come ha dichiarato in un’intervista il giudice Nino Di Matteo: “Le sentenze definitive sottolineano i rapporti tra lo Stato e la mafia. A distanza di oltre vent’anni è demandato alla magistratura il compito di recidere il legame tra politica e mafia riparandosi dietro lo schermo della sentenza definitiva e nonostante tutto alcuni soggetti continuano ad essere protagonisti della nostra scena politica”.
Elisa Guccione