Una farsa tragica, che sotto l’apparente leggerezza, irride i falsi valori morali e religiosi di una umanità ipocrita. Nell’ambito del progetto Pirandello, il Teatro della Città – Centro di Produzione Teatrale produce lo spettacolo L’uomo, la bestia e la virtù affidandone la regia all’eclettico regista Carlo Ferreri. Lo spettacolo, che andrà in scena al Teatro Brancati da giovedì 20 febbraio (ore 21), vede in scena gli attori Riccardo Maria Tarci, Evelyn Famà, Emanuele Puglia, Massimo Leggio, Daniele Bruno, Gianmarco Arcadipane, Raffaella Bella e Marina Politano. Le scene e i costumi sono di Salvo Manciagli.
«Questo gioiello di drammaturgia – dice Carlo Ferreri – si poggia su riferimenti classici di comprovata importanza e ci fa pensare soprattutto a Plauto, Boccaccio e Machiavelli. L’autore strizza l’occhio alle vecchie teorie di Darwin ma rimproverando all’uomo stesso l’incapacità di usare a fin di bene la sua evoluzione e la sua capacità di intendere. Il protagonista, il trasparente Paolino professore privato di latino, apparentemente uomo virtuoso soddisfa clandestinamente i suoi istinti sessuali cercando di difendere con le unghie e con l’astuzia la sua posizione sociale all’interno di una comunità ipocrita e ignorante. Per risolvere l’intrigo Paolino diventa esso stesso bestia. Pirandello paradossalmente assolve in parte il capitano nella sua autentica e goffa forza istintuale di animale non evoluto e condanna il professore e la signora Perella la virtù in persona grottescamente vittimista e complice dell’esilarante inganno come la Lucrezia di machiavelliana memoria».
L’allestimento del Teatro della Città si propone di omaggiare il genere farsa di fine 800. «Il testo da noi rielaborato – conclude il regista – soprattutto nella prima parte prenderà spunto dalla novella e da questa l’idea di anticipare come prologo il dialogo professore Paolino-dottore rivelando al pubblico l’angoscia del professore. Gli atti saranno due e non tre e l’azione sarà spostata in avanti e ambientata alla fine degli Anni 30, nel cuore della cultura fascista, esaltando in chiave di parodia alcuni luoghi comuni della pedagogia e della cultura del ventennio».