Il Maestro e Margherita di Michail Bulgakov approda a Catania. Unica tappa siciliana, nell’ambito della stagione del Teatro Stabile che ospiterà l’allestimento alla sala Verga dal 27 novembre al 2 dicembre. L’efficace e fluida riscrittura del romanzo è di Letizia Russo, l’acuta regia di Andrea Baracco. Nei ruoli principali Michele Riondino(Woland), insieme a Francesco Bonomo (Maestro/Ponzio Pilato) e Federica Rosellini (Margherita). Accanto a loro un nutrito cast che annovera Giordano Agrusta, Carolina Balucani, Caterina Fiocchetti, Michele Nani, Alessandro Pezzali, Francesco Bolo Rossini, Diego Sepe, Oskar Winiarski. Scene e costumi sono di Marta Crisolini Malatesta, le luci di Simone De Angelis, le musiche originali di Giacomo Vezzani. La produzione del Teatro Stabile dell’Umbria è realizzata con il contributo speciale della Brunello Cucinelli Spa in occasione dei 40 anni di attività dell’impresa. La pièce ci parla di come l’immaginazione umana sia un’arma potente e fragile, in grado di erigere strutture grandiose ma incapace di contenere davvero il Mistero. In questa versione teatrale, le tre linee narrative su cui si muove il racconto di Bulgakov (l’irruzione a Mosca del Diavolo e dei suoi aiutanti, la tormentata storia d’amore tra il Maestro e Margherita, e la vicenda umana del governatore di Palestina, Ponzio Pilato, che dovrà decidere delle sorti di un innocente) saranno lette e restituite attraverso un meccanismo di moltiplicazione dei registri e dei ruoli, facendo dell’evocazione e dell’immaginazione le chiavi per immergersi in un racconto complesso e tragicomico come la vita.
Come ribadisce il regista Andrea Baracco: «Siamo di fronte ad un romanzo pieno di colori potenti e assoluti, tutti febbrilmente accesi, quasi allucinanti. Una trama perturbante, complessa e articolata, in cui s’intrecciano numerose linee narrative, e dentro il quale prendono vita un numero infinito di personaggi (se ne contano circa 146), che costituiscono una sorta di panorama dell’umano e del sovraumano. Dal diavolo, nella figura seduttiva e mondana di Woland, una sorta di clown feroce che dirige una sarabanda demoniaca, a personaggi che rimandano all’universo grottesco di uno dei maestri di Bulgakov, Nikolaj Gogol. Si passa dal registro comico alla tirata tragica, dal varietà più spinto all’interrogarsi su quale sia la natura dell’uomo e dell’amore. Basso e alto convivono costantemente creando un gioco quasi funambolico, pirotecnico, in cui ci si muove sempre sulla soglia dell’impossibile, del grottesco, della miseria e del sublime. A volte si ride, a volte si piange, spesso si ride e piange nello stesso momento. Insomma, in questo romanzo, si vive, sempre».