di Elisa Guccione
CATANIA- Una voce calda, suadente che sfiora l’anima. Il ritmo cadenzato delle singole parole rendono l’incontro con Emanuele Salce, doppio figlio d’arte di papà Luciano e Vittorio Gassman, marito della madre Diletta D’Andrea e padre putativo che l’ha cresciuto dall’età di due anni, un dialogo quasi musicale. A Catania in scena al teatro Must con l’applaudito spettacolo “Mumble Mumble ovvero confessioni di un orfano d’arte”, che dal 2009 fa tappa nei maggiori teatri d’Italia raccontando con garbata ironia e mescolando emozioni contrastanti la condizione non sempre troppo felice di figlio di genitori straordinari e a volte ingombranti. Lo incontriamo subito dopo i meritati e generosi applausi del pubblico.
Quanto è stato difficile mettere la propria vita su un palcoscenico e donarla agli spettatori?
“Attingo ad episodi realmente accaduti raccontati nel rispetto del luogo dove vanno messi in scena. Mumble Mumble nasce nel 2009 quasi per gioco, doveva essere un evento di una sola serata e poi ci siamo ritrovati fin qui prendendoci le nostre responsabilità e soddisfazioni umane ed artistiche. Parallelamente al lavoro di tutti i giorni tra regie e fiction Mumble ritorna con piacere per nutrire l’anima e condividere questo gioco ormai diventato una cosa seria con ben oltre 500 repliche”.
Cosa le ha dato umanamente questo spettacolo?
“Mumble Mumble è uno degli spettacoli più rappresentati e rivisti. Ci sono persone che sono tornate ogni anno ad ogni replica ed altri anche più volte durante il turno di programmazione. Si raccontano momenti di vita senza pudori, ma senza eccessi e per certi versi le nostre bassezze in maniera onesta e semplice e credo che sia questa schiettezza a piacere alla gente”.
Non posso non chiederle cosa significa per un ragazzo oggi uomo essere figlio di Luciano Salce e Vittorio Gassman…
“Essere figlio d’arte è sempre una responsabilità, nel caso mio ho abbracciato la professione intorno ai quarant’anni. Oggi li porto con piacere con me, mi piace stare in scena con loro e condividere dei ricordi”.
Ha lavorato, fra i tanti, con Scola e Risi. Cosa le hanno lasciato?
“Ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscerli e viverli soprattutto nel privato. Sono persone che mancheranno sempre, ma per fortuna resta il loro lavoro che è scolpito nel marmo in maniera indelebile”.
Da professionista quando prepara la regia o la sceneggiatura di uno spettacolo cosa cerca?
“Sicuramente degli stimoli nuovi anche come uomo, non solo come artista, perché questo mestiere se affrontato in un certo modo è la chiave per risolvere la propria vicenda umana e conoscersi un po’ meglio”.
Elisa Guccione