di Elisa Guccione
“Dico sempre quello che penso a costo di sembrare antipatico”. Inizia così il nostro incontro con lo scrittore e filosofo catanese Salvatore Massimo Fazio in vetta alle classifiche con “Regressione suicida dell’abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro”, Bonfirraro Editore, la sua ultima creatura letteraria. In un freddo e piovoso pomeriggio invernale cerchiamo di capire quali segreti nasconde il suo ultimo libro.
“Regressione suicida dell’abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro” chiude la tetralogia della nuova tesi filosofica del nichilismo cognitivo da lei fondata. Questo libro nasce dalla sconfitta dei valori e degli ideali della nostra società figlia di un popolo che ricade sempre negli stessi errori. In quanto tempo è stato scritto e cosa l’ha ispirato?
“Che io abbia fondato il nichilismo cognitivo nemmeno lo sapevo, fu l’amico Luigi Pulvirenti, che un giorno mi disse, che la mia parte distruttrice era incollocabile se non in una nuova branca: il nichilismo cognitivo. Anni dopo mi ritrovo agli atti filosofici come fondatore di questo pensiero, assieme a Davide Bianchetti e da li è iniziata questa storia. Il libro è stato scritto in 6 anni. Estrapolai 22 pagine della mia tesi di laurea e da lì è nato tutto. Penso che la società si diverta a lamentarsi e allora propongo di arrendersi cosi almeno la lamentela è giustificata. La perdita di valori, sta proprio in questo, non nel politico che ci frega. Con la resa possiamo vedere chi sono i codardi che si lamentano tanto per farlo e chi ne ha davvero diritto.
Lei è considerato l’unico erede intellettuale di Manlio Sgalambro ci racconta qualche ricordo della vostra amicizia o dei vostri dialoghi?
“Un ricordo? Un giorno squillò il telefono e lui replicò: Buon Viaggio. Quando riattaccò gli chiesi chi fosse e disse: “un tipo che ripetutamente dice sempre: “Sgalambro sono in aeroporto”. Ridemmo. Ci divertivamo spesso insieme anche con poco”.
In un nostro precedente incontro ha dichiarato che l’accettazione del dolore è l’unica nostra salvezza, ne è ancora convinto? Dobbiamo accettare senza poter far nulla?
“Si! La morte della speranza è l’unica soluzione al tentativo di ripresa: accettare il dolore e non reagire”.
La sua ultima fatica letteraria a pochi giorni dalla pubblicazione sta riscuotendo un grande successo. Ci sarà un impennata delle vendite come è accaduto con il precedente “Insonnie” giunto alla decima edizione e diventato un caso mediatico?
“Me lo auguro, perchè non sovverto totalmente la tesi del precedente, ma ne creo una rivoluzione inevitabile, che parte e trova la sua nascita nella propedeuticità di quest’ultima opera stessa… una monade edita da Bonfirraro”.
Le sue presentazioni sono sempre fonte di spunti e di critiche costruttive com’è accaduto durante il terzo incontro della rassegna Jazz@Library che l’ha visto ospite. Con molta ironia ha parlato della nostra classe politica e del mondo accademico salvando solo pochi ma, secondo lei, cosa manca alla nostra società per rialzarsi da questo torpore morale e culturale che sta vivendo?
“Rassegnarsi alla sconfitta”.
Lei è considerato come una delle menti più lucide della filosofia contemporanea cosa consiglia a chi vuole intraprendere la sua strada?
“Fare analisi e non farsi sottomettere, semplicemente non reagendo… facendo “rosicare” i rosiconi”.
Elisa Guccione