di Elisa Guccione
Ph Dino Stornello
CATANIA- L’amore coniugale giunto al capolinea che sfocia in un adulterio consapevole ma ben celato agli occhi del comune pensare, per non cedere alla giostra delle maldicenze sociali e una fredda ed amara vendetta inflitta da un marito che nessuno avrebbe immaginato potesse reagire con un simile agghiacciante ragionamento sono i sentimenti, le contraddizioni e le passioni tipiche del ragionamento pirandelliano che nella pièce “Il giuoco delle parti”, scritta dal premio Nobel girgentano nel 1918 e andata in scena per la prima volta al Quirino di Roma lo stesso anno, trova la sua massima espressione.
Sul palco del Piccolo Teatro della città per la stagione del Brancati in occasione dei cento anni del dramma, in scena fino al 23 dicembre, Miko Magistro, diretto abilmente da Federico Magnano San Lio, nei panni di Leone Gala racconta il sottile legame tra finzione e realtà di vicende che si ripetono nella vita di tutti i giorni diventando specchio di una società patinata da un finto perbenismo, capace di esplodere in un epilogo cruento tipico della cronaca quotidiana.
Miko Magistro, attore di razza qual è, muove con destrezza le fila della storia incarnando perfettamente il ruolo del puparo capace di costruire “le parti” dei vari personaggi giocando sul sempre attuale tema dell’infedeltà matrimoniale con l’astuzia di sapersi nascondere dietro la maschera della correttezza per sferrare all’insofferente e frivola moglie fedifraga, un’intensa Carmen Panarello, un colpo da maestro con la cosciente certezza di dare finalmente voce alla sua vera natura di cinico e calcolatore che ha saputo sfruttare la meschinità dell’amante della propria consorte, un ottimo Massimo Leggio, analizzando con esasperante calma e totale ipocrisia tutto il marciume di un’umanità sporca e scorretta.
Il crudo realismo della storia in una scena essenziale e priva di fronzoli, realizzata da Riccardo Perricone autore anche dei costumi, tesse le trame di un complicato logos psicologico che nei macchinosi dialoghi dei vari caratteri messi in luce dalla filosofia pirandelliana non fa altro che evidenziare il dramma esistenziale di ogni singolo personaggio interpretato abilmente da Giovanni Carta, Fabio Costanzo, Alessandro Sparacino, Paolo Guagenti, Vincenzo Ricca, Alessandro Chiaramonte e Leandra Gurrieri.
La credibilità dello spettacolo, rafforzata dall’ottima intuizione del regista di amalgamare in un coinvolgente tutt’uno vita quotidiana e simulazione scenica, viene esaltata dalla veridicità dei personaggi esempio della tragicità del nostro quotidiano.
Elisa Guccione