Catania – Catania. Ormai la frittata è fatta. Uno dei «settanta galantuomini nelle nostre liste», sui quali garantiva Gianfranco Micciché, è stato arrestato. E il tema della questione morale, schivato con difficoltà sempre crescente da Nello Musumeci, non si può più sottovalutare. Nemmeno in una traversata col vento in poppa dei sondaggi: il candidato del centrodestra, secondo una rilevazione di Piepoli per SkyTg24 vola al 42%, staccando di nove punti il grillino Giancarlo Cancelleri. «Ormai non ci prendono più», è l’esorcistica certezza che si diffonde nello staff di #DiventeràBellissima.
Eppure l’arresto del sindaco di Priolo, candidato a Siracusa con Forza Italia, ha turbato il fine settimana di Musumeci. Non tanto per gli attacchi degli altri aspiranti governatori, quanto per il delicato fronte interno. Smentite ufficiose su una presunta rottura con gli alleati berlusconiani. Il musumeciano doc Raffaele Stancanelli al Giornale di Sicilia, ieri aveva rassegnato la sua rabbia per gli «irresponsabili» che non hanno ascoltato l’appello sulle liste pulite. Un riferimento generico, in una coalizione con liste strapuntinate di presunti impresentabili. Eppure il nodo più delicato riguarda il timore di uno scontro con la magistratura. Innescato dalla reazione di parte di Forza Italia all’arresto di Rizza. Soprattutto il roboante riferimento di Micciché alla «ingiustizia a orologeria». Ma anche Stefania Prestigiacomo (che a Siracusa ritengono fra gli sponsor dell’ingresso in lista del sindaco di Priolo, in contrapposizione a chi gli preferiva il deputato Pippo Gennuso) non s’è discostata molto.
«La tempistica del provvedimento giudiziario ci lascia amareggiati. La campagna elettorale deve essere svolta nella massima serenità e provvedimenti di questa natura potevano emergere anche prima della formazione delle liste», ha riferito. Esprimendo «solidarietà massima» a Rizza, «che spero abbia l’opportunità di tornare in libertà in tempo per la campagna elettorale».E allora, dopo il tentativo del pompiere forzista Marco Falcone («Disquisire sulla tempistica rischia di apparire una inutile e inopportuna contrapposizione con chi svolge il proprio lavoro a prescindere dalle dinamiche elettorali»), ieri arriva una presa rassicurazione di Musumeci in persona. «Mi sento di ribadire la mia vicinanza politica e istituzionale ai magistrati siciliani, specie a coloro che sono impegnati in indagini e processi di mafia e in procedimenti per reati contro la pubblica amministrazione che riguardano figure politiche di qualunque colore o schieramento. La magistratura continuerà ad avere da me sempre, anche nell’eventuale ruolo di presidente della Regione, sostegno e collaborazione, senza zone franche, senza se e senza ma». Dopo aver garantito: «Io non temo la contaminazione. È la mia storia a parlare per me». E attaccato il M5S: «Mi fa sorridere la doppia morale dei vertici grillini. Una setta giustizialista con gli avversari – che considerano nemici – e garantista quando ci sono da blindare le poltrone dei loro amministratori indagati, da Livorno a Bagheria, passando per Roma». Sugli impresentabili del centrodestra lo stesso refrain: «Sono i partiti, tutti i partiti -ripete – che debbono garantire candidati indiscutibili».
Un’argomentazione sempre piuttosto flebile, quest’ultima. Che affonda le radici su una consapevolezza: la somma algebrica fra i voti d’opinione persi sulla questione morale e le preferenze ormai consolidate grazie a «liste forti e radicate sui territori» dà un saldo positivo. «Nello era stato chiaro, ma ormai è andata così», si rassegnano nel suo entourage. Certi della capacità di Musumeci di blindarsi dopo la vittoria: «La prima volta che fu eletto presidente della Provincia ereditò un ente contaminato da mazzette e arresti. Lo riazzerò, lo bonificò e lo rilanciò», è il precedente storico sfoderato. Ma era un’era glaciale fa. Non c’erano gli alleati riottosi. Ma neanche taluni attuali rivali di centrosinistra. Pronti magari a soccorrerlo, dapprima dai banchi dell’opposizione all’Ars, per rafforzarlo come «presidente civico».