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“Non ci sono riscontri del summit mafioso a casa di Raffaele Lombardo”

“Non ci sono riscontri del summit mafioso a casa di Raffaele Lombardo”

10.10.2017.

«Il summit tra i vertici mafiosi e Raffale Lombardo nel giugno del 2003 a casa» dell’ex presidente della Regione «è un fatto assolutamente privo di riscontro probatorio» e «certamente errata la collocazione temporale assegnata dal Gup» visto che Carmelo Puglisi, che secondo le dichiarazioni del boss pentito Santo La Causa sarebbe stato presente, «nell’estate del 2003 era ancora detenuto».

Così la terza Corte d’appello di Catania nelle motivazioni con cui ha assolto il 31 marzo scorso dall’accusa di concorso esterno all’associazione mafiosa l’ex governatore della Sicilia Raffaele Lombardo, condannandolo a due anni, pena sospesa, per corruzione elettorale aggravata dal metodo mafioso, ma senza i caratteri dell’intimidazione e della violenza.

La sentenza ha riformato la decisione di primo grado, col rito abbreviato, di condanna a sei anni e otto mesi, emessa il 19 febbraio 2014 del Gup Marina Rizza. Conferma la Corte, invece, il reato di corruzione elettorale che avrebbe favorito la mafia, che, scrivono i giudici, non si muove con l’intimidazione, ma comprando i voti con soldi o buoni per la spesa o promettendo favori.

Per quanto riguarda i centri commerciali, Tenutella, Playa e Porte di Catania, la Corte d’appello ritiene che «non ci sono elementi probatori certi e univoci» e che non è possibile istituire un collegamento, come fatto dal Gup, tra «diverse vicende» al di «fuori di mere intuizioni o generici sospetti».

Nelle motivazioni la Corte d’appello scrive, tra l’altro, che per ‘La Tenutellà non c’è mai stata una interlocuzione diretta tra Lombardo e l’imprenditore Mario Ciancio. Con riferimento a «Porte di Catania», dalla sentenza emerge che per l’affidamento dei lavori all’imprenditore Basilotta non c’è traccia di un interessamento di Lombardo o di un ruolo di Ciancio, e che dalla nota dei Ros del 24 dicembre del 2013 si evince che non è stato l’editore a conferire incarichi perché dal 27 aprile del 2007 non aveva più alcun interesse avendo venduto le sue quote.

Per il villaggio di Xirumi la sentenza afferma che le dichiarazioni di Rosario Di Dio smentiscono che Basilotta abbia lavorato nei terreni di Ciancio e che è del tutto carente la prova che Lombardo abbia inteso favorire l’imprenditore. Sul parcheggio Sanzio, per la Corte d’appello, non emerge altro che l’interesse politico dell’ex governatore, mentre il caso la Playa non ha alcune rilevanza processuale. Sulla Safab risulta sconfessato l’assunto che l’associazione mafiosa ha avvicinato l’impresa e, anche per questo caso, la Corte ritiene insufficiente il carico probatorio a carico dell’imputato.

La Corte d’appello ritiene invece «dimostrati i rapporti tra Lombardo e esponenti della mafia, che avrebbero agito per agevolare la sua elezione, ma dal quale non avrebbero ricevuto alcun favore». Il contatto sarebbe stato tenuto «dal fratello Angelo Lombardo, che sarebbe stato picchiato a causa del comportamento del governatore e come avvertimento a lui», come sostenuto dal pentito Sturiale.

Per i giudici il reato da contestare è la corruzione elettorale, aggravata dall’avere favorito la mafia, ma senza l’intimidazione, ma con la promessa di soldi, buoni spesa o favori. Fino, come sostiene un collaboratore, a cedere gratis dosi di marijuana a tossicodipendenti in cambio della promessa del voto. Nella valutazione della pena da comminare la Corte d’appello concede le attenuanti generiche e il corretto comportamento processuale dell’imputato.

I LEGALI: “Soddisfazione per le motivazioni della sentenza con cui la Corte di Appello di Catania ha assolto l’ex Presidente della Regione dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa e lo ha condannato per il reato di voto di scambio aggravato”. E’ stata espressa dagli avvocati Alessandro Benedetti e Filippo Dinacci, legali del collegio di difesa dell’ex presidente della regione siciliana, Raffaele Lombardo. “La nuova sentenza – dicono i difensori – ribalta di fatto il giudizio di primo grado. Allora c’era il concorso esterno e non sussisteva il voto di scambio. Non sussiste oggi il concorso esterno e compare il voto di scambio aggravato”. La sentenza di appello, secondo i due avvocati, “rende giustizia delle tante fantasiose ricostruzioni operate dal giudice di primo grado facendo verità sui nodi più spinosi del processo”. “Dimostreremo in Cassazione – aggiungono, annunciando il ricorso alla Suprema Corte – l’insussistenza anche delle residuali accuse ancora a carico di Raffaele Lombardo”. In particolare, sottolineano i legali, la Corte d’Appello di Catania, in 267 pagine di motivazioni, ha evidenziato come non sussista alcuna prova del coinvolgimento di Lombardo nei lavori di costruzione dei centri commerciali: “La Tenutella”, “Mito”, “Porte di Catania” e nella progettazione del parcheggio Sanzio e dell’area denominata la Plaia; così come non esistono prove che avvalorino la tesi secondo la quale Lombardo avrebbe ricevuto un finanziamento dall’imprenditore Vincenzo Basilotta. Sempre secondo il collegio giudicante, sottolineano gli avvocati, “non esiste riscontro alcuno per il summit mafioso che sarebbe avvenuto nella casa di campagna di Lombardo tra il 2003 e il 2004 o per l’incontro svoltosi tra lui il Di Dio e Angelo Santapaola in occasione delle elezioni del 2006. In particolare i giudici hanno ritenuto il Rosario Di Dio inattendibile e il suo racconto destituito di fondamento”. Infine, rilevano i legali dell’ex governatore, “la Corte ha smentito radicalmente la tesi circa i presunti rapporti illeciti intercorsi tra Raffaele Lombardo e l’editore Ciancio ed ha in numerose circostanze evidenziato come, non solo non esiste nessuna prova dei favori fatti da Lombardo a mafiosi, ma, al contrario, esiste la certezza processuale contraria: ogni qualvolta un mafioso avrebbe chiesto – direttamente o indirettamente – un favore all’ex Presidente della Regione, egli puntualmente ha deluso qualsiasi tipo di aspettativa”. Il Collegio giudicante, concludono gli avvocati Benedetti e Dinacci, “invece, ha ritenuto che ci fossero rapporti tra il Lombardo e i signori Barbagallo, Aiello e La Rocca e che questi si siano adoperati nella raccolta di voti in suo favore nelle elezioni del 2008 in cambio della generica promessa di favori che la stessa Corte riconosce non essere mai stati fatti”.

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