I grandi cambiamenti nella storia dell’Europa non sono mai avvenuti senza travaglio. E anche l’accordo storico sul Recovery Fund da 750 miliardi (390 di sussidi e 360 di prestiti), annunciato ufficialmente alle 5.31 di martedì dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, non ha fatto eccezione alla regola.
L’intesa spartiacque, con cui per la prima volta l’Ue stabilisce una solidarietà finanziaria e mette in comune il debito garantendolo con un bilancio da 1.074 miliardi, per uno stimolo economico complessivo di 1.800 miliardi, è stata infatti raggiunta a costo di un’estenuante maratona negoziale di oltre 90 ore. Un vertice che verrà ricordato come il più lungo da 20 anni, da quando cioè a Nizza, nel 2000, fu rivisto l’assetto istituzionale europeo.
Ma rispetto ad allora, quando i capi di Stato e di governo al tavolo erano poco più di una dozzina, in questo caso il confronto è stato a 27, con molte più sensibilità da accomodare e molto show ad uso e consumo dei Parlamenti nazionali, che entro i prossimi sei mesi questo compromesso lo dovranno votare, prima dell’ok finale al piano di rilancio a sostegno delle economie messe in ginocchio dalla peggior crisi dal Dopoguerra. Per questo il presidente francese Emmanuel Macron, così come molti altri leader, ha parlato di “una giornata storica”; di un accordo “senza precedenti” il numero uno dell’Eurocamera David Sassoli; di decisione più importante dall’introduzione dell’euro il commissario Paolo Gentiloni.
Un segno “del coraggio e della capacità dell’Europa di pensare in grande”, ha commentato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La prova che l’Ue che nei momenti più difficili sa gettare il cuore oltre l’ostacolo e “aprire nuove frontiere”, ha indicato sorridente Angela Merkel. La cancelliera tedesca, ancora una volta nelle vesti di grande mediatrice, ha saputo accompagnare per mano Michel nelle ore più buie, quando nella notte di domenica la partita sembrava quasi sfuggita di mano per le dure richieste di tagli e meccanismi stringenti di governance dei leader rigoristi (Olanda, Svezia, Danimarca, Austria, Finlandia), Mark Rutte in primis. All’Italia questa intesa porta una dote di 209 miliardi, il 28% del totale.