Subito dopo le stragi eccellenti a Capaci e in via D’Amelio il capo dei capi Totò Riina aveva ordinato di uccidere l’allora procuratore di Catania, Mario Busacca, ma i vertici della famiglià Santapaola si opposero. Lo ha rivelato Vincenzo Santapaola, figlio di Salvatore e nipote del capomafia Benedetto, facendo spontanee dichiarazioni alla Corte d’assise d’appello di Catania nel processo in cui è imputato per l’omicidio di Luigi Ilardo, il cugino del boss Giuseppe Piddu Madonia, assassinato il 10 maggio 1996 perché, secondo l’accusa, Cosa nostra sospettava fosse un “confidente” e che aveva l’intenzione di collaborare con la giustizia.
«Fu Natale Di Raimondo – ha detto Vincenzo Santapaola facendo spontanee dichiarazioni in aula – a portare l’ordine da Palermo, ma io mi opposi perché eravamo contrari a delitti eclatanti. A Catania si poteva stare tranquilli».
La vicenda era già nota a magistrati e investigatori, ma non era ancora trapelata e rientra in quello che fu definito, giornalisticamente, lo scontro tra i “falchi” di Totò Riina e le “colombe” di Bernardo Provenzano sulla strategia militare di Cosa nostra.
In quel periodo Benedetto Santapaola si rifiutò di compiere omicidi “eccellenti” a Catania per non sollevare la reazione dello Stato sul territorio. Per questo il capo dei capi fece fare “uomo d’onore” Santo Mazzei da contrapporre a Benedetto Santapaola. In quell’occasione il gruppo di Monte Po si schierò con Riina e quindi – è la linea della difesa di Vincenzo Santapaola – «non potevano avere rapporti con loro e nessun incontro ci poteva essere per organizzare l’omicidio di Ilardo», come sostiene l’accusa.
Per il delitto la Procura generale ha chiesto la conferma della condanna di primo grado, emessa il 21 marzo del 2017: ergastolo ai capimafia Giuseppe Madonia e Vincenzo Santapaola, in qualità di mandanti, al boss Maurizio Zuccaro, come organizzatore, e a Orazio Benedetto Cocimano, come esecutore materiale. All’omicidio avrebbero preso parte anche Maurizio Signorino e Pietro Giuffrida, entrambi poi deceduti.
Per lo stesso delitto il 19 maggio del 2014 il Gup di Catania, Sebastiano Fabio Di Giacomo Barbagallo, ha condannato, col rito abbreviato, a 13 anni e quattro mesi di reclusione, il boss ‘pentitò Santo La Causa, che aveva organizzato dei sopralluoghi per compiere l’agguato ma che fu poi bypassato nella commissione del delitto che subì un’improvvisa accelerazione.