E’ di 13 pagine l’ordinanza con cui il gip di Agrigento Alessandra Vella ha rigettato ieri la richiesta di convalida dell’arresto di Carola Rackete, la comandante della Sea Watch finita ai domiciliari con le accuse di violenza e resistenza a nave da guerra e resistenza a pubblico ufficiale. La giovane capitana, con i 42 migranti soccorsi nei giorni scorsi, non si è fermata all’alt della Finanza e venerdì notte ha forzato il blocco dirigendosi verso la banchina del porto di Lampedusa e speronando la motovedetta delle Fiamme Gialle.
Il gip ha intanto negato la sussistenza del reato di resistenza a nave da guerra, previsto dall’articolo 1100 del codice della navigazione, ritenendo che «le motovedette della Finanza sono considerate navi da guerra solo quando operano fuori dalle acque territoriali ovvero in porti esteri ove non vi sia una autorità consolare», mentre la motovedetta speronata operava nel porto di Lampedusa. Per l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale, poi, il giudice ha sostenuto che dal video esaminato «il fatto risulta molto ridimensionato nella sua portata offensiva» e che comunque il «reato risulta scriminato per avere l’indagata agito in adempimento di un dovere». Per il gip l’attività di soccorso in mare della Sea Watch, infatti, «deve considerarsi adempimento degli obblighi di una serie di normative internazionali e italiane» che in dettaglio il provvedimento cita.
«La decisione assunta dal comandante di Sea Watch risulta conforme alle raccomandazioni del commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa e a recenti pronunciamenti giurisprudenziali», spiega il magistrato riferendosi alla decisione della Rackete di dirigersi coi migranti salvati verso Lampedusa e non verso Malta o la Tunisia. «I porti di Malta venivano esclusi perché più distanti e quelli tunisini perché, secondo la sua stessa valutazione, “in Tunisia non ci sono porti sicuri”», ricorda il gip condividendo le valutazioni fatte dalla comandante in accordo coi suoi legali. «Malta – ricorda a conferma il magistrato – non ha accettato le previsioni che derivano dalle modifiche alla convenzione Sar del 2004».
«Ritiene questo giudice – prosegue il provvedimento – che nessuna idoneità a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della Sea Watch3, oltre che delle autorità nazionali, potevano rivestire le direttive ministeriali in materia di “porti chiusi” o il provvedimento del ministro degli Interni di concerto con i ministeri della Difesa e delle Infrastrutture che faceva divieto di ingresso, transito e sosta alla nave, nel mare nazionale, trattandosi peraltro solo di divieto sanzionato da sanzione amministrativa». «L’attracco da parte della Sea Watch alla banchina del porto di Lampedusa, che, si ribadisce, era già da due giorni in acque territoriali – conclude – appare conforme al testo unico sull’immigrazione nella parte in cui fa obbligo al capitano e alle autorità nazionali indistintamente si prestare soccorso e prima assistenza allo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera».
«È una sentenza vergognosa», ha commentato stamattina il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. «La scarcerazione mi ha provocato tanta rabbia – ha aggiunto -. È stata una scelta incredibile con motivazioni incredibili perché qui si è messo a rischio la vita di alcuni uomini delle forze dell’ordine che stavano facendo il loro lavoro». Il ministro in un momento successivo è poi tornato a parlare della vicenda: «Nessuno mi toglie dalla testa – ha detto – che quella di Agrigento è una sentenza politica». «Togliti la toga e candidati con la sinistra» ha aggiunto il titolare del Viminale rivolgendosi al giudice in diretta Facebook e poi ha aggiunto: «Io non mollo, anche perché ci sono tanti giudici che vogliono applicare la legge e non ribaltarla. Io conto su di voi».